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Lo strano (quanto involontario) conflitto di interessi di Henry Ford

Henry Ford aveva una visione molto chiara del mondo anche al di fuori del suo business. L’uomo che rivoluzionò indelebilmente il modo di fare impresa nel campo dell’automotive non faceva certo segreto delle sue idee politiche e sociali reazionarie che finivano per assumere un peso non trascurabile essendo proclamate da uno degli uomini più ricchi e potenti d’America.

Antisemita a livelli tali da sfiorare il paranoico, complottista, puritano, conservatore (ma non in ambito industriale), predicatore del lavoro duro e dei sacrifici, era conosciuto all’opinione pubblica soprattutto per le sue accese posizioni super-dry, vale a dire a sostegno del Proibizionismo.

Al di là delle radicazioni morali, come altri grandi industriali suoi coevi quali Rockefeller o Carnegie, pragmaticamente Ford vedeva come una pericolosa minaccia l’eventualità che il Diciottesimo Emendamento venisse abrogato: la libera circolazione di alcol tra la classe operaia (con le prevedibili conseguenze in termini di sicurezza sul lavoro e produttività) avrebbe messo in forte difficoltà il suo modello di business che per perfezionarsi necessitava di una manodopera sempre più performante.

Nel 1929, quando il fallimento del “Nobile Esperimento” (così veniva denominato il Proibizionismo dai suoi promotori) iniziava a mostrarsi in modo sempre più evidente, Henry Ford arrivò a minacciare pubblicamente la chiusura di tutte le sue fabbriche qualora il Diciottesimo Emendamento fosse stato abrogato.

Per uno scherzo del destino però Ford si ritrovò ben presto senza volerlo ad agevolare le attività di coloro che rappresentavano la sua stessa nemesi. Tanto più gli ingegneri e le linee produttive della Ford Motor Company riuscivano a creare automobili performanti, affidabili ed a prezzi accessibili, tanto più l’industria del crimine e del malaffare si ritrovava a disposizione un’arma più efficace.

La famosa Model T, la prima auto prodotta in massa della storia, era già stata il mezzo preferito dei moonshiner del sud per trasportare il distillato prodotto clandestinamente al chiaro di luna, ma è con l’avvento nel 1932 della V8 che il logo della Ford si trovò suo malgrado sempre più spesso accostato a fatti di cronaca che vedevano protagonisti contrabbandieri di alcol, gangster e fuorilegge.

Anche le vittorie nelle primordiali competizioni domenicali negli ovali di terra battuta (che anni dopo avrebbero dato origine al campionato NASCAR) erano motivo di imbarazzo per Ford: era ben noto a tutti, infatti, che molti di quegli assi del volante che spingevano al limite le V8 di Detroit truccate erano dei bootlegger che durante la settimana contrabbandavano alcol. Alcuni di loro (un nome tra tutti Roy Hall) vantavano almeno un arresto perché beccati con le mani nel sacco, o per meglio dire, con “le fiasche nel bagagliaio”.

In un contesto come quello dell’America della Grande Depressione, in cui le Forze dell’Ordine erano in generale male equipaggiate e incapaci di coordinarsi al di fuori dei limiti della propria giurisdizione, era chiaro ai fuorilegge che la partita si vinceva sulla strada e nella fattispecie durante la fase della fuga. I bootlegger avevano appreso sul campo le loro straordinarie doti di guida da quando, adolescenti, percorrevano le strade sterrate delle colline del sud rurale a velocità folli e forse anche a fari spenti. I bootlegger sapevano bene che l’auto giusta per questo tipo di attività era la Ford V8.

Quest’ultima aveva sedotto anche fuorilegge celebri del calibro di John Dillinger e Pretty Boy Floyd che la consideravano un alleato imprescindibile per eseguire i loro colpi.

L’ennesimo sberleffo al fondatore della Ford (che tanto si prodigava a predicare la temperanza e la rettitudine) giunse nel 1934 sotto forma di lettera manoscritta da parte della coppia di fuorilegge più famosa d’America: Clyde Barrow, presumibilmente per mano della sua fidanzata Bonnie Parker, aveva scritto un messaggio, non privo di qualche imprecisione sintattica, direttamente a Henry Ford per esprimere il suo personale apprezzamento per le straordinarie qualità della sua nuova creatura ad 8 cilindri a V, che tanto lo aveva aiutato nel suo “mestiere non proprio legale”.

Come se non bastasse, poche settimane dopo quella missiva, Bonnie e Clyde finirono crivellati da una pioggia di proiettili in una imboscata tesa dai Texas Ranger su una strada della Louisiana. I due si trovavano a bordo di una Ford V8 del ’34, modello Fordor Deluxe Sedan, ovviamente rubata.

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